(articolo pubblicato sulla “Gazzetta del mezzogiorno” del 6 gennaio 2021)
Con quello che è indubbiamente il suo capolavoro, l’opera fiume La scuola cattolica, Edoardo Albinati più che scrivere un libro sul massacro del Circeo e/o sugli anni Settanta a Roma, aveva tentato con successo un esperimento estremo di narrazione in prima persona, dove a dominare non era tanto la presenza di un io testimoniale, quanto il suo ragionare ossessivo e divagante. Ebbene, dopo la breve parentesi interlocutoria di Un adulterio (2017), storia di una fuga d’amore su un’isola deserta, con Cuori fanatici, uscito nel febbraio 2019, Albinati ha avviato un ciclo dal titolo Amore e ragione, di cui Desideri deviati (Rizzoli, pp. 416, € 20) è il secondo capitolo. Si tratta diun altro importante progetto anch’esso di ampio respiro, quale il racconto dell’Italia all’alba dei camaleontici anni Ottanta: «un’epoca radicale e fanatica durante la quale nessuno si accontentava di quello che era, nessuno era soddisfatto di quello che faceva o del modo in cui lo faceva. Bisognava andare oltre e afferrare la pienezza».
Desideri deviati non è tuttavia un seguito in senso stretto di Cuori fanatici, anche se i due romanzi condividono impostazione, narrazione corale e alcuni personaggi, a partire dal protagonista, Nico Quell, ‘musiliano’ ragazzo senza qualità, figlio di un diplomatico gambizzato non si sa perchè dalle Brigate rosse, studi in Svizzera e lavoro presso una casa editrice. A differire è invece la location, milanese invece che romana. Milano, «la città del Nord», che forse non esiste, magari è semplicemente un fumo, come scrive Tommaso Landolfi in un suo celebre racconto. Una città, di lì a poco ‘da bere’, che oscilla in quegli anni, tra «immagini di totale praticità e spreco sontuoso, tra il realismo più terrestre e il sogno sfrenato, producendo uno sfavillante corto circuito tra buon senso e follia».
È la Milano capitale di due mondi dissimili, che a volte si incrociano tra loro: la moda e l’editoria. Da un lato le modelle, «creature lunari», corpi ossimorici e al tempo stesso virtuali. Dall’altro l’editoria, «mondo di mezzo tra cultura e industria, senza essere né l’uno né l’altro». Intorno a una casa editrice ruotano più o meno direttamente i numerosi personaggi del romanzo, a partire dall’editore Tito Livio Minaudo (Livio come Livio Garzanti? Minaudo in assonanza con Einaudi?), uomo tutt’altro che elegante, incapace di pensare al prossimo, se non in termini editoriali. C’è il suo geniale figlio Leopoldo, detto Quadratino. Ed ecco il Coboldo, l’uomo forte della azienda, colui che ha letto tutto, colui che decide quasi tutto, cinico e dall’aspetto sgradevole, convinto che l’arbitrio sia il solo strumento per esercitare il potere in ogni ambito. Ricordiamo ancora l’enigmatica Sheila, modella afroamericana; Chirone, il mentore di Nico Quill e la di questi sorella ritrovata Irene, nonché i vari componenti della redazione editoriale (notevoli e caustiche le pagine dove si discute intorno alla figura dell’intellettuale rigoroso). E poi la «coppia diabolica» formata dai coniugi Igor e Vera Macchi, entrambi architetti, abilissimi «nel creare occasioni in cui gli invitati si sentissero lusingati dalla presenza di altri invitati che potevano supporre più importanti di loro, più ricchi di loro o ancora più alla moda». Nel loro spettacolare party, proprio al centro del romanzo, momento di svolta della vicenda, si incrociano, dissociano, scompongono le traiettorie dei vari personaggi, i cui desideri sono costantemente deviati. Non può essere diversamente. Il desiderio coincide con il senso della pienezza della nostra esistenza. È passione, è mancanza, è spinta a realizzare sogni, spesso ritenuti impossibili. Il desiderio si mette di sbieco rispetto alla volontà: è sovversivo perché va controcorrente nei riguardi del “buon senso” uniformato al sentire comune. E questo tanto più nella città del Nord, dove – osserva Chirone – bisogna sempre e comunque «fare i conti con la realtà, col dato nudo e crudo, il fondamento delle cose: economia, potere, industria, rapporti di forza. In questa città la gerarchia esiste, altroché, esiste per davvero, ed è quella del denaro. Senza compromessi o camuffamenti. Esplicita, comprensibile a tutti. Violenta com’è sempre violenta la chiarezza».