Goffredo Parise: Chiarezza è democrazia

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Come è noto, i linguaggi del potere, siano essi quelli della politica, della pandemia, dell’economia, dell’amministrazione o del diritto, hanno la marcata attitudine all’oscurità, al rendere il tutto incomprensibile. A questo proposito vale la pena ricordare la lezione di Goffredo Parise, che sul nesso linguaggio-democrazia ha riflettuto a lungo in una serie di articoli pubblicati sul «Corriere della sera», a partire dalla metà degli anni settanta. In questi scritti esplicita quanto mostrato nel primo Sillabario, uscito nel 1972, la cui nascita viene ricondotta dallo scrittore a un bisogno di parole semplici, in reazione a quella «gran quantità di parole che si definiscono comunemente difficili», udite negli anni tra il ’68 e il ’70, in piena contestazione ideologica. Parole «difficili anche a pronunciare».

Leggiamo questo passaggio di Vivere la vita dell’Italia dei più («Corriere della sera», 6 ottobre 1974): «Credo profondamente e dolorosamente nella democrazia in Italia, cioè nel grado di maturazione di tutti i cittadini pper un discorso pubblico (come pubblico è un giornale). E credo nella pedagogia insieme alla democrazia, perché non è possibile l’una senza l’altra. Alla democrazia in Italia credo con la ragione, per carattere e per nascita. Alla pedagogia in Italia credo con il cuore». Le ‘parole democratiche’, democratiche perché chiare, sono ancora più necessarie, perché si oppongono al linguaggio della politica, dominato da una «dittatura linguistica antidemocratica». Di grande rilievo poi l’articolo del 15 luglio 1977, Perché è facile scrivere chiaro, uscito sulle colonne del «Corriere della sera». Qui Parise, in risposta a Franco Fortini (Perché è difficile scrivere chiaro, «Corriere della sera, 11 luglio 1977), considera la chiarezza nella comunicazione un requisito fondamentale, in quanto frutto di quella «cultura primaria per cui un uomo nasce animale sociale». Si tratta di un pezzo di cui vale la pena leggere con attenzione questo stralcio.

«Caro Fortini, ho letto su “Il Corriere” dell’undici luglio un tuo articolo intitolato: “Perché è difficile scrivere chiaro”. L’ho riletto con sempre maggiore attenzione e, via via, con sempre maggiore inquietudine. Di questo articolo che tendeva a dimostrare con chiarezza programmatica la difficoltà della chiarezza nell’esprimersi con la parola scritta (“nero su bianco” come si dice) non ho capito nulla. […] Un fortissimo sentimento di chiarezza mi spingeva a dire invece: “Ma Fortini, guarda che ti sbagli, guarda che è facile, facilissimo invece. Tutto dipende dalla forza del sentimento che ti spinge a comunicare con gli altri uomini, e poi dalla logica e poi dall’uso degli strumenti, cioè dall’uso della parola detta o scritta”. […] Il sentimento che induce, anzi provoca naturalmente la chiarezza è un sentimento di libertà che potremmo chiamare “universalmente democratico”. Esso può diventare anche una passione, come la storia insegna, la passione per cui si ritiene che gli uomini siano tutti naturaliter uguali […] Uno scrittore (come te e me) che voglia teoricamente comunicare con tutti gli altri uomini capaci di intendere lo strumento che egli usa (nel nostro caso la lingua italiana) non può mancare di questo sentimento perché se manca di questo sentimento già comincia a parlare e a scrivere in modo antidemocratico, in modo appunto oscuro. Più quest’uomo, questo scrittore è antidemocratico, più il suo linguaggio è oscuro e infatti si sa, è notissimo che il potere non soltanto è oscuro, ma se assoluto, la sua oscurità raggiunge il silenzio. […] Ora, caro Fortini, mi trovo costretto a tirare le somme di questa breve riflessione sul “sentimento della chiarezza” e costretto anche a chiedermi come mai e perché tu usi il latinorum, tu che potente non sei; anche tu come Don Abbondio, anche tu come l’Azzeccagarbugli non permetti al povero Renzo di sposarsi, anche tu persegui nello scrivere il vecchio vizio antidemocratico dell’oscurità, anzi del silenzio».

Chiarezza è democrazia.