Scheletri nell’armadio di Zerocalcare

(articolo uscito sulla “Gazzetta del mezzogiorno” del 13 gennaio 2021)

«Se dovessi scegliere tra definirmi un intellettuale o una foca ammaestrata mi riconoscerei di più nella foca ammaestrata». Michele Rech, alias Zerocalcare, ha sempre rifiutato il ‘patentino’ di intellettuale di volta in volta attribuitogli, ma è indubbio che i suoi ‘disegnetti’ offrono un contributo fondamentale al racconto e all’interpretazione del nostro contemporaneo. Il cartoonist romano ha infatti creato un mondo, ormai popolarissimo e multimediale, abitato dal suo alter ego e da personaggi cult come Secco, Sarah, l’Amico Cinghiale, l’iconico Armadillo, protagonisti di storie caratterizzate da un efficace e originale mix di autobiografia, fiction, cultura pop, gergo romanesco giovanile e temi solitamente appannaggio del giornalismo di inchiesta.

Con il suo nuovo libro, il più bello, il più commosso e il più amaro, Scheletri (Bao Publishing, pp. 288, € 21), Zerocalcare ci porta indietro nel tempo, agli inizi del 2002, quando diciottenne con una improbabile cresta rossa da punk, fingeva di andare all’università per non deludere sua madre. Una vita da impostore, fatta di viaggi continui sulla metro, in compagnia delle sue coscienze, tra cui una con le fattezze di Noam Chomsky (che ora firma appelli «insieme a gente che reclama il diritto di dire zozzerie razziste e sessiste», mentre «vent’anni fa era uno con una statura intellettuale enorme») e di mostri neri che albergano come ‘demogorgoni’ nel suo stomaco, simboli di malessere e di inadeguatezza.In uno di questi suoi giri continui sulla tratta Rebibbia-Laurentina, Zero ha modo di incontrare Arloc (scritto così senza la h e la k finali, a differenza del Capitano creato da Leji Matsumoto), un writer sedicenne, cresciuto sulla strada, privo di modelli familiari, piccoletto, ma con coraggio (o incoscienza) in abbondanza, tanto da affrontare e sfidare tipacci più grandi e numerosi di lui, armandosi di bottiglie rotte. Nasce tra i due una amicizia, fondata sulla condivisione di segreti e bugie, resa sempre più complicata dal mistero di un dito mozzato…

In Scheletri Zerocalcare racconta una storia di rapporti personali, amori e amicizie, che cambiano o forse più semplicemente’ marciscono’, toccando con leggerezza e profondità temi delicati, come la tossicodipendenza, la misoginia e soprattuttola paternità, vista non soltanto come segno ineludibile del tempo che passa: diventare padriequivale anche a rivisitare le vicissitudini emotive legate alla propria figura e al proprio essere prima di tutto figlio. Un romanzo di formazione dunque, in cui Rech senza indulgenza e narcisismo, rivede sé stesso adolescente per fare luce sulle scelte che lo hanno fatto diventare quello che è ora. In questo senso i riferimenti a cartoni animati, film, giochi e serie tv degli anni ‘80 e ‘90, meno numerosi rispetto agli altri lavori, non hanno una carica nostalgica, ma rappresentano dei tasselli utili alla (ri)costruzione della propria identità. Diversa nei toni e nella scelta grafica – si tratta di un libro illustrato con qualche vignetta – è A babbo morto (Bao Publishing, pp. 80, € 11), “una storia di Natale” (questo il sottotitolo) nerissima e cinica, pubblicata da Zerocalcare un mese dopo Scheletri. Si inizia con la morte di «Babbo Natale, magnate dei giocattoli e padrone della Klauss Inc.», con relativo vuoto di potere. Seguono uno scandalo che si abbatte su Figlio Natale, dopo la pubblicazione di fotografie che lo ritraggono in abiti nazisti sadomaso durante una festa privata. E poi le ingiustizie subite dagli operai folletti, sfruttati dalla fabbrica dei giocattoli. Le befane ridotte a rider sottopagate. Le Renne come mezzo di trasporto attento all’inquinamento ambientale e quindi ai tempi che corrono. È il lato oscuro del Natale: «se proprio dovete fare dei figli, almeno dite loro la verità».

Pensieri tra le nuvole

(articolo pubblicato sull’Indice dei libri del mese, novembre 2020)
Tito Faraci è uno degli sceneggiatori di punta del fumetto seriale italiano, infaticabile creatore di storie per personaggi popolarissimi come Tex, Dylan Dog, Diabolik, Topolino, Spider-man, solo per citarne alcuni, oltre ad essere il curatore della Feltrinelli Comics, prestigiosa collana di fumetto da libreria (o di graphic novel, se si preferisce). Come già nel romanzo d’esordio, La vita in generale(2015), anche in questa sua seconda opera letteraria, Spigole, Faraci si rifà a un tema molto ricorrente nella narrativa e nel cinema, quello della seconda possibilità, del cambiare vita per ricercare una felicità, percepita come perduta. Il protagonista del romanzo, Ettore Lisio, vive a Milano, scrive fumetti e ha un passato da musicista. È divenuto un autore di culto negli anni Novanta, creando, sulla scia del clamoroso successo di Dylan Dog, il personaggio di Doc Diablo. Un successo di cui però non è particolarmente orgoglioso. Chiusa questa esperienza, ora sceneggia le storie del Ranger (chiarissimo riferimento a Tex), che si fondano su uno schema narrativo particolarmente rigido, su cui esercita un ferreo controllo tanto il boss della casa editrice (in cui possiamo riconoscere Mauro Boselli), quanto i lettori, sempre critici ed esigenti. (Nel romanzo vi è una recensione tratta da un immaginario webmagazine “Pensieri fra le nuvole”, a firma Simone Alberighi, a ricordare Simone Albrigi, alias Sio.)

Così Lisio – legatissimo alla figlia Patrizia, la cui presenza in qualche modo surroga l’assenza della moglie morta prematuramente – passa le sue giornate davanti al computer a escogitare situazioni rocambolesche per il suo eroe e a inventare trappole da cui farlo uscire brillantemente, avvalendosi a volte dell’aiuto dell’amico romano Roberto (omaggio a Roberto Recchioni, attuale curatore delle serie di Dylan Dog). Questo percorrere sentieri narrativi ristrettì e ripetitivi, continue variazioni sul tema, genera in Ettore una certa stanchezza. Gli viene così in mente di abbandonare il lavoro fumettistico per rilevare una pescheria, che nel frattempo ha chiuso la sua attività. Vendere spigole dunque: «Non ci sono i Grandi Classici della Spigola, a cui baciare il culo tutto il giorno. Non c’è da pensare. Se è fresca, è fresca. Non succede che sembra che non sia fresca, però è perché qualcuno ha fatto un’operazione revisionista e sono io che non capisco, non ci arrivo. Non c’è il meta-pesce. Non c’è il revival del vecchio pesce. Non torna di moda il pesce di una volta». Rilevare quella pescheria non è però cosa semplice. Ettore si trova coinvolto suo malgrado – e con lui i suoi amici fidati – in una vicenda noir, dinamica e ricca di colpi di scena. E sarà proprio la sua capacità di inventare storie – e saperle raccontare – a consentirgli di fronteggiare il ‘cattivo’ in cui s’imbatte e salvare la giovane donna che è finita tra le sue grinfie.

Facendo leva su un personaggio parzialmente autobiografico, Faraci organizza un romanzodalla marcata impronta metanarrativa, dove il fare fumetti è visto nella dimensione concreta di lavoro, con date di consegna precise, regole canoniche da rispettare, e poi lo storytelling, dove tutto deve avere una collocazione precisa). Ma Spigole è anche un grande atto d’amore nei confronti di Milano, specie quella dei Navigli, raccontata come luogo narrativo senza cadere nelle trappole dello stradario. Una Milano che ha un’anima e che interviene nella narrazione, facendo da cornice alle vicende di Ettore e dei suoi pard. Una Milano che non dorme mai, fatta di sogni e di incubi. Masoprattutto di storie immaginate e reali: «nel momento in cui la raccontate, ogni storia è inventata. Quando la rendete credibile, ogni storia è reale».