Distribuito dalla piattaforma Netflix e prodotto da Ridley Scott, “Dove la terra trema”, di Wash Westmoreland, regista e sceneggiatore (autore, tra l’altro, di Non è peccato – La Quinceañera, Still Alice e Colerte), è un’opera ambiziosa, che intende far ricorso ai cliché del noir per sviluppare una serie di temi, quali il rapporto tra la cultura occidentale e quella giapponese, il senso di colpa, la gelosia e il voyeurismo.
Tratto dall’omonimo romanzo di Susanna Jones, il film è ambientato nella Tokyo del 1989. Vi si racconta la storia di un triangolo amoroso tra l’introversa giovane svedese, Lucy Fly, che per sfuggire ai propri fantasmi del passato, si è trasferita nella capitale nipponica, dove si è ben inserita, lavorando come traduttrice (la vediamo impegnata al lavoro su un frame di Black Rain-Pioggia sporca, al contempo documento d’epoca – il film è appunto del 1989 – e omaggio al grande Sir Ridley), l’esuberante, e lost in translation, Lily, americana, e il giapponese Teji, tanto affascinante quanto misterioso, appassionato di fotografia. Quando Lily scompare, Lucy viene sospettata del suo omicidio. Il tutto tra una scossa e l’altra di terremoto, immagini da cartolina dei luoghi più affascinanti del Giappone a partire dal monte Fuji, chiacchiere sulla capacità della macchina fotografica di catturare l’anima dei suoi soggetti, una perdita traumatica della verginità, una punta di lesbismo, un poliziotto anziano calmo e riflessivo e uno giovane e cafone, personaggi poco abbozzati e pesanti deragliamenti di sceneggiatura.
