Bret Easton Ellis, Bianco

È mosso da un narcisismo esasperato e a volte fastidiosamente autocelebrativo. Le analisi che propone sulla cosiddetta likeability – il paradigma principe dei social network – sono stranote e già state abbastanza discusse. Le polemiche che animano alcune pagine sono francamente poco interessanti o ritrite, come l’ossessione per il politicamente corretto. Si criticano i social network però a volte si ha la sensazione che il libro sia stato scritto per chiudere le polemiche volutamente scatenate su Twitter (e tweet è una delle parole più presenti nel libro). E poi quel tono da “si stava meglio quando si stava peggio”…
Nonostante questo, “Bianco” è un libro da leggere. Innanzitutto perché l’ha scritto BEE, colui che ha segnato più di tutti la narrativa nordamericana a partire dagli anni Ottanta, arrivando a creare uno stile, con almeno tre grandi romanzi: Less than Zero, American Psycho e Lunar Park. È un libro da leggere per le bellissime pagine dedicate al cinema, ricche di acutissime osservazioni (tra le tante, la lunga e ragionata stroncatura di Moonlight; American Gigolò, film mediocre, con cui entra nella masscult l’immaginario gay; «gelo, freddezza, distacco, distanza, severità, minimalismo» parole da associare ai grandi registi, come Kubrick, Antonioni, Hitchcock, Rohmer, Godard). Ed è un libro da leggere per la capacità di farci capire il presente sotto i colpi di una intelligenza stilosamentee affinata.

«Per un ragazzino degli anni Settanta non esistevano genitori-elicottero: affrontavi il mondo più o meno per conto tuo, un’esplorazione priva del supporto dell’autorità paterna o materna. A posteriori, i miei genitori, al pari di quelli degli amici con cui sono cresciuto, mostravano un’incredibile disinvoltura, molto diversi dai genitori di oggi che documentano ogni mossa dei figli su Facebook e li mettono in posa su Instagram e li esortano a non frequentare posti pericolosi e chiedono solo positività mentre evidentemente cercano di proteggerli da ogni cosa. Se crescevi negli anni Settanta, la tua infanzia non era assolutamente così. Il mondo non ruotava attorno ai bambini».

«Il fatto che qualcuno possa interpretare una battuta o delle immagini (un dipinto o persino un tweet) come sessista o razzista (al di là del fatto che lo sia) e quindi offensivo e intollerabile – con la conseguenza che nessun altro dovrebbe ascoltare, vedere o tollerare quella cosa – è una nuova forma di mania, di psicosi che la nostra cultura sta coccolando».

«Un problema crescente della nostra società è l’incapacità delle persone di sopportare due pensieri opposti nello stesso momento in testa, così ogni “critica” del lavoro di chicchessia viene rubricata come elitarismo o come invidia o senso di superiorità».

«Dopo che hai creato la tua personale bolla che riflette solo ciò a cui tu ti rapporti e con cui ti identifichi, dopo che hai bloccato o smesso di seguire le persone le cui opinioni o la cui visione del mondo condanni o non condividi, dopo che hai creato la tua personale piccola utopia fondata sui valori che ti sono cari, una sorte di folle narcisismo inizia a deformare quest’immagine così carina».

«La maggior parte di noi oggi conduce sui social una vita che è più fondata sulla finzione di quanto non fossimo in grado di immaginare anche solo una decina di anni fa, e grazie al germogliare di questo culto della popolarità in un certo senso siamo diventati tutti degli attori».

da Bret Easton Ellis, Bianco, Einaudi, Torino 2019 (traduzione di Giuseppe Culicchia).

Max Frisch, Cosa succederebbe senza la letteratura?

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Ogni sistema sociale, feudale o liberale che sia, elabora una lingua che rafforza il sistema fin nelle questioni di secondaria importanza.

Una lingua del potere, parlata non soltanto dal ceto dominante, una lingua corrente che impariamo da bambini e utilizziamo vita natural durante senza sapere che ci riempie di pregiudizi. Di frasi fatte: un uomo povero, ma onesto! In questa società, forse, l’uomo è povero perché è onesto. Perché invece non diciamo: un uomo ricco, ma onesto? Non si dice… questa lingua, costituita da una quantità di frasi fatte, e di stereotipi, coniata sulla base degli interessi del ceto dominante, questa lingua che impariamo a scuola considerandola l’unica lingua corretta non è però assolutamente la lingua della nostra esperienza. Ci estrania dunque dalle nostre esperienze. Molti non stanno vivendo come viene affermato da questa lingua. Come lo si dice. Ma poiché molti non sanno dire come stanno vivendo, si sentono obbligati a vivere come viene imposto loro da questa lingua del potere. Come si vive. La lingua del potere ha la tendenza a scoraggiarci per assicurarsi la nostra disponibilità. Ci castra, politicamente, giorno dopo giorno – Quel che produce la letteratura: non assorbe gli stereotipi (oppure denuncia lo stereotipo) e cerca la concordanza, che è soggetta al mutamento, tra lingua ed esperienza. Prima di una guerra e dopo una guerra avvertiamo qualche leggero cambiamento. “Guardatevi attorno”, dice Georg Büchner nel suo dramma intitolato DANTON, “tutto questo lo avete detto voi”. Lo scrittore si guarda attorno. Contrapponendo alle frasi fatte un’altra lingua, egli smaschera la lingua del potere alla stregua di lingua del potere, di lingua ingannevole – e in questo vedo già una rilevanza politica della letteratura, di tutta la letteratura, anche se un romanzo o una poesia non affrontano un argomento di carattere sociale.
da Max Frisch, Quadrato nero. Due lezioni sulla letteratura, Gaffi, Roma 2012