Ogni sistema sociale, feudale o liberale che sia, elabora una lingua che rafforza il sistema fin nelle questioni di secondaria importanza.
Una lingua del potere, parlata non soltanto dal ceto dominante, una lingua corrente che impariamo da bambini e utilizziamo vita natural durante senza sapere che ci riempie di pregiudizi. Di frasi fatte: un uomo povero, ma onesto! In questa società, forse, l’uomo è povero perché è onesto. Perché invece non diciamo: un uomo ricco, ma onesto? Non si dice… questa lingua, costituita da una quantità di frasi fatte, e di stereotipi, coniata sulla base degli interessi del ceto dominante, questa lingua che impariamo a scuola considerandola l’unica lingua corretta non è però assolutamente la lingua della nostra esperienza. Ci estrania dunque dalle nostre esperienze. Molti non stanno vivendo come viene affermato da questa lingua. Come lo si dice. Ma poiché molti non sanno dire come stanno vivendo, si sentono obbligati a vivere come viene imposto loro da questa lingua del potere. Come si vive. La lingua del potere ha la tendenza a scoraggiarci per assicurarsi la nostra disponibilità. Ci castra, politicamente, giorno dopo giorno – Quel che produce la letteratura: non assorbe gli stereotipi (oppure denuncia lo stereotipo) e cerca la concordanza, che è soggetta al mutamento, tra lingua ed esperienza. Prima di una guerra e dopo una guerra avvertiamo qualche leggero cambiamento. “Guardatevi attorno”, dice Georg Büchner nel suo dramma intitolato DANTON, “tutto questo lo avete detto voi”. Lo scrittore si guarda attorno. Contrapponendo alle frasi fatte un’altra lingua, egli smaschera la lingua del potere alla stregua di lingua del potere, di lingua ingannevole – e in questo vedo già una rilevanza politica della letteratura, di tutta la letteratura, anche se un romanzo o una poesia non affrontano un argomento di carattere sociale.
da Max Frisch, Quadrato nero. Due lezioni sulla letteratura, Gaffi, Roma 2012