Dov’è il mio corpo?

“Dov’è il mio corpo?” (ma il titolo originale recita “J’ai perdu mon corps”, cioè “Ho perso il mio corpo”, senza alcun punto interrogativo) è stato il primo film d’animazione a vincere la Seimane de la Critique a Cannes 2019, per poi aggiudicarsi il premio della giuria e quello del pubblico al Festival di Annecy. Tratto dal romanzo “Happy Hand” dello scrittore Guillaume Laurant, che lo ha sceneggiato con il regista Jérémy Clapin, famoso illustratore francese, qui alla sua opera prima, è la storia di una mano umana, mozzata, che fugge dal laboratorio dell’ospedale per andare alla ricerca del proprio corpo: una vera e propria odissea lungo i tetti, le strade e i sotterranei, a scansare le insidie di topi, piccioni e agenti atmosferici. È la mano di un ragazzo di origine magrebina, Naoufel, giunto in Francia con grandi speranze, ben presto disattese. Una serie di flashback ci fa conoscere la sua storia. Timido e impacciato, Naoufel, che sognava da bambino di di fare il pianista o l’astronauta, consegna, piuttosto maldestramente in verità, pizze a domicilio, per poi lavorare come apprendista nella falegnameria dello zio di Gabrielle, di cui è innamorato. E proprio qui perderà la mano per un incidente sul lavoro.

Siamo ben lontani dalle atmosfere horror del film d’esordio di Oliver Stone o della commedia nera stile Famiglia Addams. “Dove è il mio corpo?” è una fiaba delicata (lo sceneggiatore Guillaume Laurant è un collaboratore di Jean-Pierre Jeunet, firmando, tra gli altri, lo script de “Il favoloso mondo di Amelie” o de “Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet”), in cui le tematiche universali dell’amore, della speranza e del sogno, si alternano alla analisi sociale. Il tutto con una scelta di animazione tradizionale, che rinvia alla tradizione transalpina della “linea chiara”, dove l’animazione 3D e i disegni 2D si alternano con efficacia. Curiosa l’idea di ribaltare la teoria del corpo che mantiene il ricordo dell’arto perduto, in quella dell’arto che conserva la memoria del corpo.

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