Un giorno di pioggia a New York

Lui, lei e New York. Lui, Gatsby, nome davvero impegnativo, studente di un college privato e al tempo stesso fortissimo giocatore d’azzardo grazie a una geniale mente matematica, è un rampollo della grande borghesia wasp newyorkese («Gente fuori mercato che parla di libri fuori catalogo»), quasi un dandy. Lei è la biondina Ashleigh, sua collega di college, figlia di ricchi banchieri di Tucson, Arizona («Non siamo repubblicani, è un caso che siamo ricchi», dice la ragazza, quasi a giustificarsi), aspirante giornalista, non particolarmente preparata (annovera Kurosawa tra i registi europei). I due giovani decidono di trascorrere un fine settimana a Manhattan. La città battuta dalla pioggia, complicherà e cambierà la loro relazione.
Realizzato nel 2017 e bloccato per due anni in seguito alle assurde accuse di molestie sessuali rivolte ad Allen per fatti risalenti al 1992, “Un giorno di pioggia a New York” è una commedia colta e deliziosa, che guarda ai grandi modelli di Lubitsch e di Cukor e omaggia, tra gli altri, De Sica e Renoir. Molti i momenti davvero spassosi (Ashleigh ha il singhiozzo ogni volta che un uomo le piace, la risata della fidanzata del fratello di Gatsby), che si alternano ad altri malinconici e perfino drammatici. È il caso del confronto finale campo-controcampo tra Gatsby e l’odiata madre, che ha sempre cercato di imporre al figlio dei codici comportamentali fondati sull’etichetta. È una delle vette dell’ultimo cinema di Woody, una sequenza che sembra uscita dai film del suo periodo bergmaniano, quello di “Interiors” e “Un’altra donna”. Ma questo film è un nuovo atto di amore di Allen nei confronti di NY. Non a caso, Gatsby, ennesimo alter ego di Allen si muove come un flaneur tra le vie di Manhattan, si reca nei vecchi hotel, in luoghi storici del secolo scorso, come il Bar Bemelmans al Carlyle Hotel, permanendo in uno stato sospeso tra sogno e ricordo. Anche se non manca l’ironia: «Soho, pieno di creativi, ti piacerà. – spiega ad Ashleigh – Poi però è diventato troppo costoso, quindi si sono trasferiti a Tribeca, ma anche lì è diventato troppo costoso, quindi sono andati a Brooklyn. Tra poco torneranno da mamma e papà». Ad Ashleigh invece si aggira per la NY più fatua, quella delle luci della celebrity. La vediamo intervistare il regista di culto, depresso e in crisi d’ispirazione, il suo sceneggiatore in crisi con la compagna che lo tradisce e il divo latinoamericano con il quale inizia a flirtare, fino al confronto finale al momento dell’aurora. Curatissime le scenografie di Santo Loquasto e splendido il lavoro di Vittorio Storaro, le cui luci fanno pendant con lo stato d’animo dei personaggi.
Peccato per gli americani che non potranno vedere questo film.

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